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UN LIBRO SCRITTO DA UN BOVINESE: LA CANDELA SPEZZATA di Lauda Nicola

Written by  admin Published in Arte Cultura e Spettacoli Sunday, 21 February 2021 18:15
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Non abbiamo molte notizie di questo autore bovinese ma ci ha incuriosito la sua riservatezza ed il  modo di presentare questo  libro sulla sua pagina Facebook che qui di seguito trascriviamo:

Voglio essere sincero, volevo far propria una frase di Gesualdo Bufalino a proposito della pubblicazione del suo primo romanzo"ho sempre aspirato a essere pubblicato postumo" ma...

 

ecco riprendo da quel "ma"....Qualcuno ha insistito più del dovuto e un pò di vanità mi ha dato la spinta per "partorirlo".

così il 11/05/2020 è uscito LA CANDELA SPEZZATA.

pubblico alcuni brevi estratti per stuzzicare la vostra curiosità:

Le ruote della macchina a noleggio mordevano l'orlo della strada, brucando la cunetta e inghiottendo cartelli stradali e pali della linea elettrica che apparivano e sparivano come non esistessero davvero, sollevando una nuvola di polvere giallastra che inseguiva come un'ombra saponosa il veicolo senza mai agguantarlo.

L'alito rovente del favonio cacciava morsi infuocati tra pelle e vestiti, scompigliava le ginestre fino a spolparle dei fiori e la buccia della terra sembrava cotta al forno mentre l’auto correva come per il repentino puntiglio di un conducente in ritardo.

Come le gobbe di un mostro sonnolento le due campate del ponte permettevano di guadare il Cervaro lasciandosi l’arso Tavoliere alle spalle; il paese era in cima ad una serpentina di curve che si avvitavano fino a solleticare le natiche del cielo, che nella fretta di purgarsi lo aveva scolicato tra ulivi contorti e spinosi macchioni di prugnolo selvatico, un nido di pietra dal riverbero di conchiglia, in bilico sulla falesia con la stessa arroganza di un funambolo bendato che confida troppo nella sua arte.

La marmitta urlava il dolore del metallo imbrigliato vomitando fiati di olio bruciato, l'ansito del motore che si conquistava la salita, faceva da sottofondo all'anfanare dei polmoni dell'autista che accompagnava ogni curva con uno sfiato rugginoso dal sentore di lavandino ingorgato e ad ogni cambio di marcia si strimpellava la rastrelliera di rughe che aveva sulla fronte e dopo aver aspirato avidamente il filo azzurrino della Nazionale, lo sgomitolava dai polmoni svaporando trucioli di fumo lattiginoso che venivano risucchiati dal finestrino aperto.

Ad ogni edicola o lapide che incrociava, lì piantate come monito del periglioso tracciato di tornanti ingannevoli, l’autista si portava la mano aperta ad un’invisibile visiera, un marziale saluto come richiesta di protezione per il proseguo del viaggio.

Dopo aver con una sterzata d’istinto degna di Ascari, scorticato più di una delle sette vite ad un gatto che gli aveva attraversato la strada e rasata la coda di un mulo che se ne stava improvvidamente a masticare l’aria in una curva ed evitato il rosario di maledizioni e accidenti generosamente dedicatagli dal suo condottiero, una brusca frenata sull'anziano selciato mise fine al gemere delle giunture dell'auto che da un pezzo aveva perso l'impeto della gioventù, mentre un senso di nausea iniziava a vellicare la gola di Margherita.

Il giorno aveva oramai agguantato l'ombra e l'aveva nascosta come un tesoro prezioso tra le vertebre di pietra che si facevano avaramente spazio tra le case, mentre le pietre fluviali dell’acciottolato riverberavano il sole inclemente che ulcerava i lombi della collina, la furia ossessiva delle cicale rendeva il silenzio assordante, l'unico segno di vita era un'intera colonia di cornacchie, che nascoste tra le fronde dei lecci del corso, gracchiavano come indemoniate e cagavano sui marciapiedi un liquore grigiastro; animali concupiscenti si erano riprodotti con fanatico ardore e avevano ormai acquisito tutta la proprietà del corso, dispensandolo di un afrore di marcio come quello di un pollaio, obbligando la gente a tenersi a opportuna distanza.

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da pag 5

L'incoscienza dell’età li portava a carambolare nell'amore ogni giorno, con tutte le turgescenze all’erta e pronte per essere destate dalle reciproche carezze, i lombi a danzare mollemente mostrando una primizia odorosa di ginestra bagnata che portava Antonio a estremi di febbre neroniana esasperandone le reni, finché il suo desiderio troppo a lungo sollecitato esplodeva inondandola di acque felici in cui lei nuotava appagata.

Il suo corpo nascondeva cedevoli insenature in cui lui si insinuava affidandosi al sonno, lasciando in vista il suo sesso brunito e flaccido come un budello di maiale, ma vai oggi e vai domani, l'incoscienza bussò portandogli il conto, salato come le lacrime che gli ararono l'incarnato di zucchero caramellato quando capì di essere incinta, terrorizzata dalla reazione che lui, saputa la notizia, avrebbe avuto dato che molti uomini rifuggivano questi problemi con la stessa velocità con cui li creavano.

-Cazzo, fu la prima parola che pronunciò Antonio quando glielo disse, spalancando gli occhi come davanti ad un pericolo ma durò solo un istante, il tempo necessario perché realizzasse l’idea di diventare padre e la sua anima delicata di dispiegarsi, poi felicemente incosciente spalancò le sue labbra polpose mostrando il suo trenino di denti perlacei:

da pag 7/8

Il vescovo, normalmente rotondo e roseo come un suino in gonnella, attirò a sé la vestaglia e iniziò a camminare impaziente per la stanza, perché cerziorato della sciagura, aveva deciso di uscire dalla sua residenza per visionare gli eventi con i suoi occhi chiari, nonostante non si sentisse in piena forma dopo una notte in cui non era riuscito a trattenere il sonno tra le palpebre, perché le sue frattaglie marce non gli avevano dato requie, riempendogli lo stomaco di acido che gli risaliva in gola allappandogli la bocca con un sapore di bronzo ossidato e costringendolo a scolare l'intestino con repentine scariche che lasciavano lui esausto e la stanza ammorbata da odori volgari che neanche l'incenso che si disanellava in cerchi di fumo schiumante dalle viscere del turibolo riusciva a dissipare, dando la sensazione che qualcuno in quella stanza si stesse decomponendo.

Sentì un’angustia alla somma del petto e per la prima volta il peso del cuore, ed ebbe la sensazione che potesse rotolargli fuori dalla vestaglia, come una moneta, guardò quegli occhi cerati dall'insonnia nello specchio incancrenito dall'umidità e si vide con la pelle di semola, vizza come una mela vecchia, avvolto nel fiato greve dei suoi odori senili sentendosi più vicino a Cristo di quanto lo fosse mai stato; la testa quasi interamente emancipata dai capelli, che fragili e non più trattenuti si disperdevano sul cuscino e anche l'unico tocco di colore in mezzo alle gambe s'era andato man mano sbiadendo.

Sentiva che il suo corpo aveva smesso di resistere e che anche l'unica dote giovanile rimastagli, cioè la capacità di dormire fino a tardi, negli ultimi tempi fosse anch'essa svanita e quel pensiero ulcerante lo colmò di paturnie, avviandosi con lena affannosa in una stanzetta comunicante che era l’ara sacrificale in cui lui ogni mattina officiava la purificazione del corpo e svogliatamente si strofinò foglie di salvia e grani di sale sui denti per nettarli dal muschio notturno e renderli brillanti.

Niente è più pericoloso che innamorarsi dei propri guai pensò e come iniettato di un nuovo vigore, fregandosene della caustica corruzione della materia, il suo spirito ancora pulsante gli fece fare uno scatto ferino rimirandosi nello specchio e al suo riflesso lavò la faccia con uno sputo, poi prese l'orinale in cui la notte aveva alleviato i visceri e lo svuotò nello scarico seguito da un secchio d'acqua, il buco deglutì il malloppo ruttando, portando con sé anche i cattivi pensieri.

L’eminentissimo si accasciò sulla poltrona, che lo ingoiò con un setoso sbadiglio, pronto ad accogliere il segretario, secco e talmente striminzito che non riempiva nemmeno il vestito che indossava, smanceroso come un gatto, che lo informò che non si era riusciti a trovare l'arciprete di San Pietro, che il priore del Rosario ormai in là con l'età, era allettato e che il decano della Cattedrale era impossibilitato perché occupato in altro gravoso ufficio di cui non era dato sapere.

Lo sguardo che tradiva la sua bocca, lo scorticò come con una pietra:

-Dalle persone possiamo esigere solo ciò che possono dare, rispose il vescovo congedandolo.

Il segretario orgogliosamente compiaciuto dall'affermazione del suo Pastore fissava lo sguardo sull'enorme anello d'oro che gettava lampi sanguigni e si disse:

-Non è facile esprimere prontamente con giuste e soavi parole la propria contrarietà, non si diventa vescovi a caso e io sono proprio fortunato a servire questo grand’uomo.

L’eminenza mise al sicuro l'adipe ingrossato dai suoi sessant'anni, dopo una certa lotta con i bottoni, dentro il lungo abito talare, infilò le scarpe che miagolavano sul pavimento tirato a lucido, si calcò sul cranio lo zuccotto paonazzo e si apprestò ad uscire seguito dal Capitolo della Cattedrale quasi al completo, riottoso a mettersi in cammino col sole già caldo che si affilava le unghie sui tetti con raggi accecanti che costringevano ad abbassare lo sguardo, brucando tra quella ruggine che inzaccherava le vesti, ma costretto suo malgrado a scortare il vescovo che si apriva la via col pastorale fendendo l'aria come con una falce, tenendo lontano con quello sciabolio quanti provavano ad avvicinarlo.

Una donnina curvata in due dalla fatica e dall'artrosi che gli si era distillata nella lisca dorsale, sorpresa alla vista di quella che pensò essere una processione, si inginocchiò portandosi una mano al cuore e segnandosi con l'altro arto rattrappito, mostrando delle gengive color cocomero trafitte dalle radici dei due canini.

Il vescovo alla vista di cotanta venerazione per la sua persona, soddisfatto dall'aura del suo potere, decise di elargirle la sua taumaturgica benedizione affettando l'aria con un'impalpabile croce, per poi continuare il suo tragitto tra l'avara ombra delle case che l'avrebbe portato dinanzi al piccolo portale della chiesa, che si apriva nero come il buco in una gengiva su un'unica navata.

Respirava a fatica, con uno scricchiolio vetroso a ogni boccata d'aria, debilitato dalla brutta notte in cui il sonno non aveva avuto compassione per il corpo e dalla scarsa abitudine dei suoi muscoli alla fatica del camminare.

Arrivato dinanzi alla chiesa illuminata da una lista di sole che ne attenuava l'offesa subita, fessurò gli occhi arricciando la griglia della fronte, facendo spaziare la vista all'interno, dai banchi impallinati dai calcinacci e dalla polvere, alle capriate pericolosamente in bilico ghermite da un intero collegio di gazze che strillavano come indemoniate, dando al vescovo la certezza che lì si fosse abbattuta la mano di un Dio irato.

Si portò le mani al pesante crocifisso d'oro che gli pendolava al collo nascondendolo nell'incavo e non permettendo alla paura di fargli tremare la voce sentenziò: Genesi 19,

per tutti quelli che vogliono qui sotto il link per l'acquisto e mi raccomando voglio i commenti.

 

LA CANDELA SPEZZATA   AMAZON.IT LA CANDELA SPEZZATA:

 

 

Il romanzo racconta la lotta che la protagonista, Margherita, ingaggia contro l’avverso destino per tutta la sua vita, lunga più di un secolo.La sua esistenza, la candela appunto, continua ad ardere nonostante il cielo, il destino o qualunque altra cosa, si accanisca ferocemente a spegnerla.Il teatro in cui il romanzo si svela è il Novecento, con i suoi echi tragici che giungono lievi, a volte trattati con ironia, ma che lasciano sempre un’ombra di malinconia; la scena si apre e si consuma in un paesino dell’appennino Dauno, ma per molti versi simile a tanti paesini d’Italia, dove la magia e le ancestrali credenze fanno parte della vita quotidiana e forse lo sono ancora oggi.Sono numerosi i personaggi che vi partecipano, alcuni appena abbozzati che si affacciano timidamente tra le pagine per poi scomparire lasciando la scena a Margherita.Che cosa vuol dire il romanzo?Che per quanto impegno tu possa metterci nella vita, essa segue sue logiche, cambia strada senza avvisarci, portandoci alla fine dove vuole lei.Soprattutto è una storia d’amore quella tra Margherita e Antonio, portata all’estremo sacrificio, che non è la morte fisica ma la scelta di affidare alla morte il loro amore per continuare a vivere.

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